mercoledì 2 novembre 2011

revolution

Arriverai trafelato, con il gusto appena assaporato dell'ingiuria al traffico, nel luogo dove si vende il tempo. Il tuo lo avresti passato solo nella stanza, in attesa, sudando al telefono le ragioni dei tuoi guai, senza riconoscere che la stessa fatica sarebbe bastata per risolverli. Vicino a te un uomo a te uguale, soffocato dalle carte, calcolatore di numeri di telefono, ti racconterà della sua allerta per aver scoperto il suo malanno dal dottore, che approfittando del cinismo, in una qualunque giornata autunnale, gli annunciava che aveva un timore. Oggi tutti muoiono per un timore. Lo schermo del computer non farà che accentuare le perle di sudore che ti colano dalla fronte, penserai che sia strano un caldo così invadente nella stagione dove nascono i primi brividi, ma un fazzoletto bianco con le rifiniture blu un po' logore ti farà dimenticare ogni stranezza. Il padrone dell'ufficio troverà da lamentarsi quando noterà che i ventilatori tanto sognati saranno tutti fuori uso. Anche ai piani inferiori i lamenti si alzeranno all'unisono, si inizierà a dubitare dell'azienda, distinta da sempre per come tratta i suoi dipendenti da uomini, e non da lavoratori. È il suo motto, nessuno si è mai interessato a quanto un motto sia una risposta facile in tempi critici, lo si prende per buono, o per bontà.
Il caldo renderà impossibile continuare a battere sulla tastiera, ti alzerai dalla sedia che a stento lascerà andare la camicia dallo schienale, stupita dall'anticipo con il quale ordini il loro divorzio. Il tuo vicino nel frattempo assumerà le sembianze di amico, per aver condiviso con la stessa tua impazienza, ma con meno domande, l'afa che rende la stanza un acquario. Vi metterete alla ricerca del fresco, prima salendo con i piedi sulla scrivania, poi proni sulla moquette, ma vano ogni tentativo. Deciderete, grazie alla decisione del padrone dell'ufficio, di andare nella sala relax, per interrompere la sfida con il termometro, ma la macchinetta del caffè sarà fuori uso, e altri arrivati prima di voi avranno già pensato di cercare di aggiustarla a suon di pugni, pugni inutili come quelli dati ai somari. Scoprirete ascoltando il silenzio che il motivo del malfunzionamento sarà dovuto al blocco della ventola, che surriscalderà il motorino, oppure alle caldane del piccolo barista che si nasconde all'interno, e che non accetta quelle condizioni per lavorare. Adesso sarete in cinque, tra cui una donna, con la patina di sudore che ne esalta le forme prima nascoste sotto il completo d'ufficio. Per qualche attimo dimenticherete le calunnie gridate al caldo, e lo ringrazierete per il regalo inaspettato. Si aspettano sempre regali inaspettati. Scenderete tutti e cinque in strada, seguiti da lontano dai padroni dei rispettivi uffici, che avranno da ridire sulla vostra iniziativa, ma che arriveranno alla conclusione che anche voi di tanto in tanto potete dire la vostra. Sulla piazza tutti gli abitanti dei paraggi, stravolti dalla temperatura così alta e straordinaria. Un anziano dirà, Non ci sono più le mezze stagioni, alcuni rideranno, altri per ingannare il tempo chiederanno il perchè. Tutti indispettiti, ma voi nonostante tutto uniti, voi cinque a farvi forza e i bambini dell'asilo contenti, perchè quel giorno fuori dalle cose normali sarà come una festa, e inizieranno a cantare. Ognuno dirà la sua versione, ma l'ultima parola, quella decisiva e che convincerà ogni presente, sarà dello scemo del villaggio globale, che sul suo blog farà notare che quel giorno il vento si sarà fermato. Il motivo di quel caldo da inferno sarà per la sua scomparsa. Quel giorno il vento si alzerà così tanto da dimenticarsi di scendere, lasciando il nostro mondo in pausa, stazionario. Voi anche fermi, vi guarderete l'un l'altro cercandovi le parole a vicenda sulle labbra. Il primo suono, assordante, un tuono di lacrime di un bambino dell'asilo, sconvolto dal fatto che non ci saranno più aquiloni nel cielo. Inizierete a dire addio anche voi agli aereoplanini di carta, alle gonne alzate con la giarrettiera rosa, al fascino del marinaio coi capelli lunghi danzanti al porto. Vi sembreranno irreali le palle di fieno dei film western, gli uragani, i paracadute e le mongolfiere. I cani non metteranno più la testa fuori dal finestrino, i gatti non giocheranno più con le piume, e i pesci non invidieranno più la loro libertà vista attraverso l'acqua. Addio agli spioni, perchè le soffiate, senza vento, non hanno motivo di esistere. Come funghi rinasceranno le case chiuse, perchè senza il vento che batte, la calura di certi uomini sarà quietata da ventagli giganti, pagati a ore.
Nella piazza gremita nonostante tutto, la gente non avrà niente da dire ma mille pensieri. Tutti saranno sul punto di pronunciare qualcosa che rallegri gli spiriti, ma le intenzioni resteranno incastrate sulla punta della lingua e lo scemo del villaggio globale, ancora lui, mostrerà la sua al vicino sperando che colga la profondità delle sue conclusioni.
Quel giorno, nel caldo mai visto in autunno, nel silenzio che la mancanza di vento impone, tutti alzerete lo sguardo allo scricchiolio di un ramo. Una foglia, ormai marrone, preso atto del fatto che da lì in avanti non avrà più alcuna spinta, deciderà di cadere da sola. Farà un tuffo nel vuoto inconsapevole della destinazione, ignorando gli sguardi sbigottiti dei presenti, si andrà a posare al centro della piazza. Voi cinque, il vecchio, lo scemo, i padroni e i bambini dell'asilo, tutti a quel punto capirete, che sarà l'inizio della rivoluzione.

giovedì 28 luglio 2011

poesiadiunpoverocristo

Maddy che ilare conclusione
io che ti tendo le braccia aperte
tu che mi guardi dal basso
come la storia della nostra storia

chi l'avrebbe detto io incoronato
tu che inizia a perdere il peso
e l'armonia della carne
ma perchè non gioisci per la mia vittoria

cerchi invano di contrastare
l'avvizzimento, i segni
dei disperati sul tuo corpo
infamato e degustato

anche tu
amy casadelvino
con gli occhi tristi
dietro un tatuaggio da camionista
che suona pow il clacson
quando una signora
in calze a rete protende la sua gamba usa e getta

arriva il temporale
scaccia le grida il tuono
nasconde le righe di lacrima
che ti sporcano le guance

era un così bravo ragazzo
era anche bello
gli erano discepoli
anche chi non lo era
guardava pure poco la televisione
era amico delle parole degli asini
e la forza macha dei buoi
i desideri futitli di un figlio di un figlio di falegname
che guardando chi lo piange
pensa alla sua vita senza legno
con il trenino a capodanno
una casa popolare perchè povera
la moglie devota fa le pulizie dai salesiani
vivere il modo peggiore di dimenticare
la sua passione sognando un giorno le vacanze a formentera
ma in regalo una pietra che lo affoga
proprio ora che i comunisti vincono ovunque
e il suo popolo esulta

avrei fatto l'artigiano
avrei avuto i calli sulle mani
e un orologio enorme a ricordarmi il tempo che non mi stufa
ora i polsi trafitti da aghi
diglelo al pio
digli delle mie mani immacolate
racconta del nostro amore
quando verranno a chiedertelo
racconta i segreti
sfata il mito di un uomo nato uomo
e morto martire
dillo maddy
un vodka tonic in frigo
per abbassare la calura
e innalzare la voglia di ridere
che se ne fanno di un voto in meno
dal monte si vede la gente indifferente
siamo rimasti in quattro
ed uno aspetta che crepo
altro che figlio di dio
finisce come figlio di niente
un mucchio di polvere tolta col cif
e le gambe storte come zambrotta


non sono neanche più incazzato
esausto
del dio che consiglia e obbliga
e quando tutti piangeranno
scusalo perchè non sa quello che sta facendo

giovedì 7 luglio 2011

portami via



caro amico portami via
dalla violenza e la pazzia

da queste aliene novità che vedo e sento come strane
dallo stormo di spermatozoi acerbi che si sentono già rane

la donna coperta dal mantello e tutti grideranno
che fa si vergogna? È sicuro porta danno!

una guerra iniziata da due giorni che non finirà mai
e Leopardi stufato dai suoi versi grida “a Silvia me la dai?”

i cleptomani spinti dal languore eseguono i suoi ordini
li chiamano zingari, ma io lo so che sono rondini

tribune degli stadi piene di corpi traboccanti odio
solo perchè la propria squadra non finisce mai sul podio

piangono le madri con la prole in guerra
piangono i salici strappati dalla terra
piangono i pittori in cerca del bello
piangono le puttane al grande fratello
piangono i rubinetti
i pensionati
i comici
e i neonati

piangono gli schiavi della terra
che zappano e non vedono i frutti

oh dio è possibile che in questo medioevo
a piangere son sempre tutti?

E se ti pare di aver sentito tanto
spiacente continuerei per ore
lo scrittore non mi chiamerebbe santo
ma son comunque bevitore

amico vicino ci sei tu
e se ti prendo per il collo
è per non pensarci più
sentirmi vuoto, fesso un pollo

adesso per le mani ti posso tenere
le spiegazioni saccenti non oso ascoltare
tu fratello tu maligno tu bicchiere
starai con me fino a farmi vomitare

mercoledì 8 giugno 2011

al bar


 
Domenica. Sono seduto al solito posto in fondo, tra le macchinette del poker e il bagno. Fuori fa caldo, il sole oggi sembra più grande del solito, siamo solo io e Aldo, il barista. Lui lava le tazzine io rileggo per la terza volta il giornale, alziamo la testa ogni volta che passa una macchina, nella falsa speranza che spinga una piccola folata di vento, o magari che faccia un incidente così avremmo qualcosa di cui parlare.
Il tempo da noi non passa mai, arriva in ritardo, forse ci ha dimenticato, forse non ha voglia.
Ripenso alla nottata, a quelle facce felici per forza, i locali che vomitano alcol come ossigeno e i ragazzini che si sentono uomini per un giorno. Lo odio, il sabato. Ma come ogni settimana Enrico ha scoperto una serata incredibile in un locale nascosto, nuovo o, a quanto dice lui, sottovalutato, una di quelle che ti ricordi per tutta la vita e puoi raccontare in giro orgoglioso. Il più delle volte ci ritroviamo a parlare dei nostri sogni nel cassetto, che se veramente esistessero, quei cassetti, avrebbero ceduto per il peso.
Chissà cos'ha in testa Aldo adesso. Niente, credo. Aldo è un barista, e come tutti i baristi ha una serie di esclamazioni e risposte che vanno bene in ogni occasione, tipo quando entra qualcuno e, anche se lo conosce da un sacco di tempo e di lui sappia vita morte e miracoli, lo saluto con un discreto Ehi bomber!
Sono le due già da mezz'ora ormai. Entra, falsamente inaspettata. Ha il solito vestito floreale che le sottolinea le curve delicate, un filo di rossetto, un nasino alla francese attento ad ogni cosa e gli occhi verdi sempre un po' socchiusi e che ti guardano dall'alto. Salve a tutti, dice quasi sottovoce, anche se in realtà non mi ha notato. Prontamente Aldo risponde ehi bionda e posa le tazzine nel lavello. La signora Marzapane ha i capelli neri, ma quello è il modo che ha Aldo di salutare le donne. Nessuna eccezione. La signora Marzapane tira fuori una banconota da 20 euro dal reggiseno. La banconota è umida per il sudore che non ha risparmiato neanche quel corpo da fata. Ancora pochi attimi poi quell'angelo ci saluterà, per ripresentarsi come quell'essere schiacciato dalle sue stesse ingiurie, sotto le vesti stropicciate e sporche di martini rosso che diventa la signora Marzapane, ogni giorno, da quando la sua metà l'ha lasciata. Mi vergogno un po' per lei quando la vedo in quello stato. Eppure ricordo quando la vedevamo passare in tutto il suo splendore davanti al bar, ed era una gara a chi aveva la fantasia più assurda sulla posizione, o l'apprezzamento più audace sulla sua perfezione. Lei era obbligata a passare di la dato che abitava al portone di fianco, ma non ha mai abbassato la guardia, troppo felice e sicura del suo uomo, che solo con lo sguardo ci avrebbe fatto a pezzi. Noi lo sapevamo, infatti i nostri commenti erano più che altro bofonchiati, detti sospirando e a mezza voce. Poi l'incidente, che divide quella mela d'oro, forse distrutta da dio perché troppo, perché simbolo di peccato. Ora nessuno di noi osa di più di un sottomesso cenno del capo, evitando sempre di incrociare quello sguardo privo di tutto e troppo gelato per essere sostenuto.
Sono le due e mezza. Enrico è in ritardo come al solito. È impossibile capirne le motivazioni, ma è sempre bello ascoltare le sue bizzarre scuse. Oggi mi ha promesso un appuntamento a quattro, con due tipe che ha scovato chissà dove, ma che hanno la fama di essere delle grandi maiale.
Sento delle urla venire dal palazzo di fronte. Non vale la pena uscire per questo, ma tanto volevo fumare. L'inquilino del primo piano abita solo. Ogni tanto si lascia prendere dai suoi fantasmi e grida al mondo quanto faccia schifo, quanto l'uomo sia solo merda, non risparmiando i passanti, che si vedono addossare delle colpe che non avevano idea di avere. Nessuno però gli ha mai replicato. Nessuno osa. Per paura delle risposte che potrebbe dare, per le verità che potrebbe ricordarci, non avendo nessuna barriera inibitoria che possa suggerirgli il buon costume, la discrezione.
Si vede una luce camminare verso di me. Ha il passo veloce, frenetico. Enrico. Un raggio gli punta la testa pelata che la fa brillare e mi costringe a chiudere gli occhi. Si scusa per il ritardo, ma ha litigato con le ragazze dell'appuntamento.
Al bar, non succede mai niente.

venerdì 22 aprile 2011

boris - il film (voto 7)

non ho seguito la serie (cosa che mi riprometto di fare al più presto), ma boris mi è piaciuto. sarà come sparare sulla crocerossa dire quanto schifo facciano i cinepanettoni, però è giusto ricordarlo. per non finire con il catalogarli come cult movie, osannando le scorregge e le tette plastiche che fioriscono tutti gli anni intorno al 25 dicembre. e gli sceneggiatori ombra e le attrici cagne e le cagne che si fingono attrici? sarà un gran pentolone di luoghi comuni, ma come dice umberto eco: un clichè fa orrore, tanti insieme commuovono.
il pesciolino boris più che un amuleto contro le sfighe che inevitabilmente accadono sul set, sembra più un grillo (non) parlante che ci ricorda che l'etica è giusto che guidi le nostre coscenze, cosa che amaramente il film nel finale distrugge e ribalta.

giovedì 21 aprile 2011

luca & guido

Un suono lontano di archi, forse qualcuno provava a diventare de André.
Il divano aveva su uno dei braccioli una sbavatura di rossetto, il ricordo di una principessa felice; le finestre chiuse, quadri di dubbio gusto appoggiati per terra, la lampada stava in piedi per grazia e ogni tanto accusava il sonno, lanciando frammenti di buio in cui gli occhi disegnavano i profili delle cose andate, come le stelle. Un tavolo bianco al centro della stanza.
Non avendo altro da fare Guido si schiarì la voce.
"la Juve non è una grande squadra. Nel complesso potrebbe anche andare, ma manca di un regista che faccia girare la palla, un pensatore."
Luca era un tifoso sfegatato, lo toccava nel vivo quell'affermazione che ormai accompagnava la sua squadra da quando era tornata in serie A.
"ma non capisci? Siamo perfettamente democratici. Una cooperativa. Tutti servono, nessuno prende decisioni da solo. Ogni volta l'idea passa da una testa ad un altra e così arriviamo alla soluzione"
Nonostante vibrasse in lui una certa veemenza nelle parole, Luca faceva fatica a parlare. Colpa forse dell'instancabile soggezione che provava nei confronti di Guido, o della sua timidezza. Parlare con Guido gli piaceva, anzi gli piaceva il fatto che Guido parlasse con lui. Tutti quegli aneddoti, tutta la chiarezza che trovava nel risolvere quelli che per Luca erano dolori, motivo delle sue angosce.
Guido dal canto suo regalava le sue perle noncurante, svogliato, pareva che i pensieri gli passassero davanti implorando di essere svelati al mondo. Nessuno sapeva in realtà di cosa si occupasse. Era immanicato un po' in ogni parte di Torino. Con lui si evitavano le file in discoteca, si beveva gratis nei locali giusti, cosa che attirava sempre un gran numero di ragazze, assolutamente indifferenti al potere che poteva trasparire dalle riverenze dei baristi, piuttosto interessate al fascino inspiegabile che emanava quel ragazzotto sulla trentina.
Luca si era abituato a venire sempre in secondo piano in quelle occasioni. Addirittura quando camminavano gli sembrava sempre di seguirlo, non sapendo mai quale effettivamente era la direzione che intendeva prendere. Anche quando parlavano con amici comuni, Luca stava sempre mezzo passo dietro, cosa che non notava quasi mai nessuno. Tranne una volta, quando una ragazza, non particolarmente bella in verità, lo tirò a sé sorridendo e gli parlò nell'orecchio sfiorandolo di tanto in tanto con punta della lingua. Gli disse che quella notte la sua coinquilina non era in casa e che aveva tanto bisogno di compagnia. Paura del buio. Luca tergiversò e alla fine rifiutò. Diceva di essere un cacciatore, e di avere il bisogno di catturare le proprie prede. Peccato che per la caccia a Luca mancasse il fucile, l'unico motivo che l'aveva spinto a rifiutare era la brutta figura che avrebbe fatto con Guido, che invece conquistava sempre le più desiderate. Luca quella notte a casa si masturbò.
C'era stato una volta, un episodio di cui Luca andava assai fiero. Si erano dati appuntamento in piazza della repubblica, verso le dieci. Luca notò Guido contro una colonna e un piccoletto che, agitato, gli gridava in faccia. Luca avvicinandosi facendo meno rumore possibile raccolse tutte le monetine che aveva in una mano e chiuse il pugno, ma quando fu arrivato ad un paio di metri vide i due scoppiare a ridere, risa che non aveva mai visto sul viso vissuto del suo amico. Così arrivando salutò educatamente e venne presentato ad un certo Jack, vecchia conoscenza di Luca, che stava appunto raccontando della disavventura che gli era capitata qualche sera prima. Luca non disse niente riguardo all'agguato che stava per fare, ma gli riempì il corpo di sicurezza sapere che in una situazione del genere ormai non sarebbe più scappato, ma avrebbe agito.
"tu non capisci Lu" era così che lo chiamava quando si vedevano.
"la gente non ha voglia di pensare ai grandi problemi, alle tensioni internazionali. La gente vuole solo vivere in pace la loro noiosissima vita. Per questo siamo finiti nel fascismo. Tutto nelle mani di un uomo solo, e soprattutto molto deciso"
"mio nonno per un uomo solo ci ha rimesso le unghie".
Guido rise appena, lasciando intendere che la battuta era fuori luogo, perché lo distraeva dal discorso molto serio che stava facendo.
Accese una sigaretta per tutti e due. Luca la fumò senza staccarla mai dalla bocca così quando fu finita si bruciò leggermente le labbra prima di sputarla in terra.
Luca si alzò, andò a prendere la scopa che teneva accanto al frigorifero e tolse le tracce.
Avevano detto a tutti che avrebbero viaggiato per la settimana di pasqua, Luca a trovare un amica di Milano, Guido per un incontro d'affari verso Bologna. Nessuno sapeva che si trovassero in casa da ormai due giorni. Fumare infatti era un azzardo. L'aria era stantia, essendo tutto chiuso per far sembrare che non ci fosse nessuno.
Luca dopo un lungo sospiro domandò "caffè?".
Senza neanche rispondere Guido iniziò a prepararlo. Era assai tipico di Guido non rispondere alle domande che avevano risposte ovvie, cosa che Luca non era mai stato in grado di codificare. Era sempre nel dubbio di averlo offeso, o di dire cose troppo stupide perché meritassero una risposta. Guido per accendere il fuoco usò un fiammifero, orgoglioso del fatto che l'amico lo guardasse usare un modo sorpassato per una cosa semplice. Nella tavolozza del cielo iniziavano a mischiarsi colori scuri, la notte dava i primi segnali del suo arrivo.
Suonò il campanello. Luca e Guido si guardarono per un brevissimo istante, poi Guido prese uno specchietto e lo infilò rivolto verso la strada attraverso le fessure della persiana. Era un ragazzino, sui quindici anni, collo piegato in avanti per dar sollievo alle spalle cariche al di là dell'immaginabile di volantini. Solitamente i due si divertivano a gettare una bacinella d'acqua agli ospiti indesiderati, ma sta volta non si poteva rischiare.
Guido era nervoso, Luca stranamente no. Avrebbe voluto grandemente fumarsi una canna, l'avrebbe disteso. Era veramente strana quella stanza ora.
"non capisci che questo è un atto d'amore?"
"d'amore?" rispose Guido sarcastico, con un leggerissimo sogghigno.
"dai hai capito! Affetto, chiamalo come vuoi! avrei potuto chiedere ad un altro invece ho scelto te"
"sò solo che mi stò ficcando in un cazzo di delirio da cui non immagino come ne uscirò. E poi ti avevo chiesto di non parlarne più".
Passò un tram di sotto, si potevano riconoscere ad una ad una le ruote che passavano sulle giunture dei binari, tale era il silenzio che regnava.
Ogni volta che parlava, Luca tirava su la testa, ricordando il martirio di san Pietro di Caravaggio. Era stato proprio quello il motivo per cui si conobbero, a quella festa di laurea quattro anni fa almeno. In realtà nessuno dei due riconobbe la stampa che era appesa sulla parete, ma si divertirono a pensare a quanto fosse banale che una studentessa di belle arti avesse un quadro del genere in camera. Guido così iniziò a indicare tutti i modi in cui se l'era scopata, chiamandola cagna, e indicando tutti i punti della piccola stanza in cui l'avevano fatto. Luca rispose che era sua cugina, ma, forse per il vodka tonica che avevano sgorgato entrambi, forse per il tempo in cui si scambiarono le battute, questo non creò imbarazzi. Al contrario, i due si scambiarono le e-mail e due giorni dopo Luca inviò questo messaggio a Guido: "hai infangato il buon nome della mia famiglia, ti va una birra sta sera?". Divennero inseparabili. In giro iniziarono a chiamarli speck e brie, non davanti a Guido naturalmente.
Non dire niente per tutto quel tempo aveva creato un ronzio nella testa, un fischio nelle orecchie che andava taciuto.
"forse" dissero contemporaneamente.
"perchè non hai mai trovato una donna?"
"me lo chiedo spesso"
"a volte avrei voglia di gridare in mezzo alla gente per ricordargli quanto mi fanno schifo"
"non serve dirlo, lo sanno già. Tutte le mattine quando si guardano allo specchio pensano che quello che vedono sia solo la continuazione dei loro incubi, ma invece sanno"
"noi siamo diversi"
"diversi sì"
"parleranno di noi in futuro"
"si augureranno di ripetere quello che siamo"
"ci osanneranno"
"saremo amati"
Luca chiuse lentamente gli occhi. Il suo ultimo respiro sapeva ancora di caffè. I monconi che aveva al posto delle braccia avevano spruzzato l'ultimo goccio di sangue. Ne era rimasto completamente privo, come previsto. Ora Guido doveva ripulire tutto, finire la macellazione della carne rimasta, e cominciare a cenare. Rispettando la sua promessa.

quel che resta del giorno

prendete una cipolla e iniziate a spellarla. continuate fino a che non rimane niente. arriverete alla fine senza aver scoperto nulla di nuovo, ma avrete pianto.
ishiguro non sembra interessato a eventi sensazionali, accadimenti strepitosi e passioni travolgenti, il suo è un lungo percorso nell'anima, lento e impacciato a volte. accenni ricordi e ripensamenti ci guidano nella vita di un uomo costretto, costretto per sua volontà a rinunce e pose immobili, grossi rospi da ingoiare.
il maggiordomo stevens ha un quadro lucido della sua professione, ma forse non della sua vita. è giusto dedicarsi? per la paura di non essere all' altezza di prendere decisioni, cullarsi nelle scelte di altre e più "luminose" menti?
è il secondo libro che leggo di questo straordinario scrittore, i suoi testi all'apparenza immobili, ma soprattutto i personaggi rinunciatari e rassegnati ci initano a reagire prendere posizione e lottare per noi stessi